mercoledì, ottobre 03, 2007

"Und wenn du lange in einen Abgrund blickst...

...blickt der Abgrund auch in dich hinein."

(Se guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarda in te)

-Friedrich Nietzsche

Non è solo colpa della giornata (e della nottata) in compagnia di Soffici, di Corradini e del Papini nichilista. Non è solo una inside joke per pochissimi eletti (anche se tutto dipende dall'angolazione... :-p ). E' che in fin dei conti la sovrapposizione dell'osservatore e dell'osservato non è così improbabile, che si tratti di un viandante e dell'infinito, di un bambino e di un lupo in uno zoo (non sottovalutate la produzione per ragazzi di Daniel Pennac), di un'idealista confusa e della sua vita. Mi è capitato più volte, a ben vedere: ho fissato l'America tanto a lungo che l'America ha cominciato a fissare me. A fissarmi e a chiamarmi, con risultati alterni, ma riuscendo sempre e comunque ad influenzarmi in qualche modo. Il problema è che, come scrivevo un paio di mesi fa, "cerco un'America che forse non c'è nemmeno più", inseguo un mondo yankee fatto di tanti piccoli particolari che sicuramente hanno plasmato la mia idea degli States, ma che sono ben lungi dal rappresentare la totalità della realtà in cui mi sono rituffata. Una realtà che pure è circoscritta all'ambito accademico e alla East Coast, una realtà in cui posso ancora trovare appigli concreti di ogni genere.... ma che non è soltanto il campus, CVS, Au Bon Pain, le agende Collegiate e lo spirito di Fitzgerald, nonostante il mio subconscio si ostini a crederlo. Prima di Penn avevo una concezione decisamente vaga di questo strano universo, che pure mi attirava da sempre. L'Overseas era sicuramente un progetto che vagheggiavo da tempo, ma mi sono resa conto soltanto ex post che si trattava in realtà di un'idea, un mito personale, influenzato dalla mia beneamata letteratura nordamericana forse più che dal resto dell'immaginario collettivo, ma comunque una concezione assolutamente avulsa dalla concretezza dell'esperienza che ha poi preso corpo. Esperienza che per altro è stata incredibile e irripetibile, come saprà chiunque mi abbia sentito tessere le lodi della mia Philly. Sono stata davvero fortunata, a conti fatti, ma ciò non toglie che il percorso per arrivarci si sia basato contemporaneamente su una grande forza di volontà e sul principio di inerzia. Sembra assurdo, ma è stato proprio così. Ho sempre detto che avrei fatto un anno di università negli States e l'autunno del 2002 pareva essere l'ultima chance per fare domanda; era per altro il momento giusto per partire, anzi, avevo veramente *bisogno* di staccare, per tutta una serie di motivi. Insomma, sembrava l'opportunità perfetta di fare al momento giusto qualcosa che avevo sempre desiderato. Eppure per arrivare a quel 25 agosto 2003, alle sei del mattino al Marconi con i Boys (on tour) e la Chiara a salutarmi in aeroporto, è stato necessario un lungo processo di autoconvincimento che pochi sospettano. Se da fuori tutto poteva sembrare perfetto, dentro di me regnava la paura per il grande salto. Ricordo nettamente la prima notte a Utrecht, nel luglio del 2002, quando ho giurato a me stessa che non avrei mai fatto domanda per l'Overseas per non sentire più il magone che provavo in quel momento. D'accordo che tutte le lacrime di quell'estate avevano una motivazione concreta e giustificabile che aveva poco a che vedere con un anno all'estero, ma per tutto il tempo del soggiorno olandese ho continuato a pensare che l'andarmene così lontano da casa non facesse per me, anche se alla fine dei conti quel mese fuori dal mio mondo mi ha lasciato un sacco di bei ricordi e mi ha regalato due delle persone più importanti della mia vita.
La verità è che tutta la trafila Overseas l'ho portata avanti su due binari diversi: su uno mi muovevo istintivamente, cercando una boccata d'aria fresca e inseguendo quel sogno astratto che ancora porto con me, galvanizzata dagli altri applicants (Jo e Monny in primis! Ma soprattutto il mitico porcello Melville che ci aspetta in qualche ranch del Kansas! :-p); ma sull'altro andavo avanti per un misto di razionalità ("è la cosa giusta per me in questo momento") e inerzia ("intanto faccio domanda, poi vedremo... per ora accetto, mal che vada posso sempre tornare sui miei passi..."). Non so se si vedesse, ma avevo davvero paura del salto, anche nei momenti di maggiore euforia per la grande avventura che stava per iniziare. The rest is history: un anno fantastico, intensissimo e super demanding, ma assolutamente indimenticabile ed ineguagliabile.
Ma un Overseas è una dimensione completamente diversa da quelle che ho vissuto dopo e da quella che sto vivendo ora. E' un periodo lungo, certo, ma in qualche modo ancora entro i limiti della "ritornabilità", della possibilità di reinserirsi nella vita di prima. La ripresa non è stata immediata, ricordo un lungo periodo di apatia e di assestamento, ma nell'anno successivo ho cominciato a costruire un piccolo mondo bolognese che si adattava molto meglio alla mia personalità rispetto a quello precedente. Un mondo dove non tutto era/è perfetto, certo, ma che mi manca sempre più ogni volta che me ne allontano. Parigi e Boston sono state due (lunghe) parentesi, in fondo, strumentalizzate in parte per la costruzione di questa nuova impresa; ma è solo ora che mi ritrovo faccia a faccia con il frutto di tutte le mie scelte e dovrò, a tempo debito, capire dove voglio andare a parare.
Paradossalmente il percorso che mi ha portata fin qui, nonostante sia stato spalmato su tre anni interi (ho iniziato nel 2004 a considerare la carriera accademica), è stato caratterizzato dallo stesso mix di esaltazione ed inerzia che mi ha portata a Philadelphia. Durante il secondo semestre a Penn ho cominciato a sentire un sacco di gente che faceva progetti per grad school e mi si è aperto un mondo che non avevo mai considerato prima; in fondo lo studio e la ricerca sono l'unico ambito in cui ho un minimo di competenza "pratica", ma prima di allora non avevo mai concretamente pensato di farne un percorso di vita. Non mancavano comunque infiniti tentennamenti, tant'è che alla fine, per tutta una serie di motivi, ho deciso di restare ancora un po' nell'ateneo bolognese e posporre l'epopea delle applications. Il progetto restava, anche se dilatato, ma sicuramente una grossa parte è stata portata avanti anche sull'onda di analoghe scelte altrui, in particolare di Stefano, ma anche di tutti quelli che si lanciavano in avventure post-lauream e mi riportavano a pensare che non fosse ancora giunto il momento di lasciare il mondo accademico. Sicuramente in me c'è molto della ricercatrice innamorata delle parole e della cultura, così come come c'è molto della viaggiatrice e dell'americanofila (intendendo per America quella personale miscela di letteratura, cinema, pop culture e meritocrazia che vorrei poter separari dai tanti aspetti negativi di questa nazione). Ma forse è proprio qui che l'abisso ha cominciato a guardare in me. Non ho ancora capito quanto peso abbiano avuto i miei vagheggiamenti cultural-letterari sulla mia stessa percezione del cammino che ho intrapreso. Per dirla in parole povere, nonostante io sia grata a tutto l'insieme di cose e di persone che mi ha permesso di arrivare qui, nonostante Brown sia una signora università, nonostante mi paghino per studiare (for once!), nonostante io possa relativamente spaziare fra Italian e American studies... non so se tutto questo sia davvero ciò che voglio. So solo che qui per ora non sono felice (e Vincenzo, che sono finalmente riuscita a sentire, dice giustamente: "E ti pare una cosa da niente?!?"). So che ho ancora mood swings pazzeschi, alterno l'euforia dell'esplorazione delle mille opportunità alla nostalgia profonda e all'incertezza su questa scelta che è probabilmente una delle più impegnative della mia vita. So che di giorno faccio ambiziosi progetti di ricerca e di sera cerco voli per tornare a casa. Perchè "casa", per chi ancora lo mettesse in dubbio, è e resterà quella di sempre, anche quando la gente mi dà per dispersa e non dimostra alcun interesse a costruire o mantenere piccole e grandi tradizioni e opportunità di condivisione (evito di precisare l'ultimo episodio di questo genere per non ricadere in polemiche inutili e perche' agli occhi dei "profani" potrebbe sembrare una questione priva d'importanza, ma ne approfitto per ringraziare una persona che in quell'occasione si è rivelata di una dolcezza infinita... you know who you are!). Mi ci sono voluti il tempo e la distanza per rendermi conto di quanto sono legata alla mia città, ma già da Parigi scrivevo della mia mutata percezione, e con Boston e soprattutto Providence la nostalgia non fa che aumentare. La conclusione per il momento è sempre la stessa: cerco di concedermi il tempo necessario per una valutazione obiettiva, e nel frattempo trovo ogni appiglio possibile per andare avanti. E in questo momento, alle quattro di mattina, con una stanchezza enorme e una giornata lunghissima davanti, la camomilla ai petali di rosa che mi attende fumante sul comodino mi sembra un discreto palliativo.

Allie

PS: prometto che il prossimo post sarà più allegro e colorato, ho due interi Jo(y)ful weekends da raccontare e finalmente posso uploadare le foto di questo periodo (grazie Erica!!).

3 commenti:

V ha detto...

ehi bella! ...nell'amato giorno di San Petronio torno a leggere il tuo blog. L'unica cosa che posso dirti è che non sempre ciò che può sembrare irrazionale e irragionevole è sbagliato (o meglio, inopportuno nell'ambito della nostra vita). Perciò ti auguro di trovare la tua strada e ti lascio citando Feyerabend: "The only principle that does not inhibit progress is: anything goes". Dormi sonni tranquilli, un bacione! Vanessa

Anonimo ha detto...

Ciao Allie!!!
Sono una delle tue ex ex compagne di università....Linda!!! Complimenti per il blog...pian piano sto leggendo tutto...da quando ci siamo viste il giorno della mia laurea ti sono successe un sacco di cose!!!...mi sto aggiornando!Inutile dire che mi piacerebbe immensamente venire a trovarti, ma la vedo dura.. chissà!
Un bacio!!

Unknown ha detto...

SuperAllie, che piacere scoprirti a leggere il mio blog e che bello avere la possibilità di leggere di te qui...
Anch'io sono ancora totalmente insicura riguardo a ciò che voglio, ma il fatto che tu sia felice in questo momento "Non è cosa da poco" (Vincenzo, cit.).
Io penso sempre che a poco a poco le cose si risolvano da sole (come vedi sono anch'io per il principio dell'inerzia...), perché di solito per me è sempre stato così, e se le cose all'inizio non mi erano chiare, a poco a poco ho visto la nebbia che si diradava da sola ;)

Devo scappare ma ti mando un sacco di baci from Italy! Giorgia