lunedì, dicembre 06, 2010

Random I Am - Of Dice and Boards.

"Every morning, it's a new surprise
Don't know who I am before I roll the dice..."

Millencolin, "Random I Am"

Qualche giorno (notte) fa ho scritto una lettera a un caro amico. Sì, d'accordo, era un'e-mail, ma aveva il profumo e la lunghezza di una missiva vergata a mano e macchiata dell'inchiostro notturno dei pensieri tanto confusi quanto profondi dell'insonnia e dell'introspezione. Fra le altre cose ho buttato lì una frase scaturita quasi sua sponte, che riassume il lingering feeling che mi accompagna in questo periodo. "Ho paura di tornare indietro sul tabellone invece di tirare il dado e proseguire." Metafora banale, forse, ma efficace per molti versi. Il caroamicotiscrivo me l'ha giustamente rilanciata, perchè la tenessi a mente e perchè mi adoperassi per tirarlo, quel dado. Me la appunto qui, non per autocompiacimento, ma perchè a volte fa davvero bene ricordarsi del proprio senso di marcia.

Allie



domenica, dicembre 05, 2010

Hypodermic

"Doesn't matter who you've been
You're reaching in but you don't know where to begin..."

The Offspring - "Hypodermic"

Mentre scrivo di stereotyping and sense-making per qualche astruso motivo mi torna in mente questa vecchia canzone dei miei beneamati Offspring, una traccia forse sconosciuta a chi non si è spinto indietro oltre Smash e Ixnay, ma che a me è rimasta impressa. Eccomi di nuovo a tirare le somme, o quasi, di un altro intenso periodo all'estero. Il tutto mentre cerco di addentrarmi nei meandri della teoria dell'identità sociale, almeno quel tanto che basta per fornire un framework teorico alle mie analisi cinematografiche. (Ri)partire implica certamente rimettersi in discussione... ma (ri)tornare spesso è ancora più complesso... uno si plasma un'identità "nuova" in virtù di tutte le esperienze e le persone che incontra sul suo cammino, ma poi si ritrova all'improvviso a dover fare i conti con la (le) identità precedenti, custodite nei luoghi e nelle memoria collettiva (almeno di quelli che ancora si ricordano di lui!). E allora it "doesn't matter who you've been", or does it? Conta solo quello che si era prima, nel luogo a cui si fa ritorno? E che fare di quello che si è stati nel mezzo, nell'altrove spaziale e mentale? Francamente stavolta mi sento ancora meno in grado di rispondere. Passare qualche mese all'estero per certi versi è una magnified projection della fugace esperienza dell'altrove regalato da un libro o da un film: certo, è vita vera, a volte anche complicata da tutta una serie di questioni organizzative che ne rallentano la realizzazione vera e propria, ma contiene anche la dimensione dell'esplorazione, della possibilità, una gamma di opzioni che magari nel mondo "normale" non si prenderebbero nemmeno in considerazione o non esisterebbero tout court. Ecco, per la prima volta da quando ho cominciato a spostarmi sul serio ho cominciato a considerare la mia città d'origine come *una* tra le possibilità, non *la* mia dimensione di default. Me ne sono stupita io stessa, ho sempre visto il rientro come una normale conclusione del percorso, a volte anzi l'ho ricercato perchè provavo il desiderio di riappropriarmi di una realtà che sentivo molto più mia di quella in cui mi ero proiettata e con cui faticavo a venire a patti. Stavolta invece temo il pigeonholing che potrebbe aspettarmi, temo quel mondo lavorativo-accademico che ho sempre saputo ostile ma che ora più che mai mi sembra veramente saturo, inespugnabile e malato. Non che qui sia tutto rose e fiori, se non avessi la maggiorazione della borsa di studio probabilmente avrei dovuto far fagotto in quattro e quattr'otto, visto il costo della vita londinese, e tuttavia, anche se studenti e ricercatori sono in subbuglio anche qui, in qualche modo mi sembra che ci sia un minimo di respiro in più (ok, il termine di paragone rende tutto migliore...). Del resto mi sono resa conto da poco dell'ironia di vivere a Barons Court... nomen omen? Boh, quasi quasi ci spero, almeno avrei un mazzo di chiavi per entrare!


Allie

lunedì, ottobre 11, 2010

PhD-ing in Britain

1. Huge libraries. Open stacks. Bliss.
2. Conferences on fan culture, Buffy studies, Comic Con, the gaming industry, even more AVT than I can squeeze in my monthly planner.
3. I said "Cheers". Bloody hell. I said "Bloody hell"!

Allie

giovedì, agosto 19, 2010

Unfinished Business

Ne' la ricerca, ne' i lavori freelance hanno mai veramente fine. Shame on me per essermi portata dietro un sacco di roba arretrata, ma anche volendo non avrei avuto modo di smaltire tutto prima della partenza... e se non altro, anche se passo secoli incollata al computer come al solito, quando esco dal laboratorio e' tutta un'altra cosa avere Londra intorno... Il progetto a cui accennavo nell'ultimo post (ormai datato) e' andato in porto, tra frenetici preparativi, innumerevoli problemi con l'alloggio (altra cosa che non ha mai fine!) e smaltimento traduzioni, trascrizioni, sottotitolaggio, paper... Insomma, estate molto piena, ma nel complesso sono davvero felice della trasferta britannica. L'Inghilterra resta sempre il primo amore, anche se dovendo scegliere temo di propendere comunque per quella "Nuova"... Spero di aver tempo di parlare meglio della mia vita qui, ma temo di dover rimandare al post-Torino... ironia della sorte, eccomi di nuovo alla volta di questa bella citta', pronta (no, questo non e' vero!) per un'altra bella conferenza. Il che implica che smetta di scrivere qui e torni al mio paper in fieri!

Allie

mercoledì, giugno 16, 2010

Storm in a Teacup

Immagino che a molti capiti di non riuscire a dormire a causa di un temporale... ma dubito che ci siano altre persone che non riescono a prender sonno per paura di *perdersi* la pioggia! Certo, non è che io sia comunque in grado di dormire a prescindere dalla situazione meteorologica... ma in questo preciso momento il temporale è il correlativo oggettivo dell'esaltazione che cresce dentro di me. Progetti in fase di concretizzazione... progetti importanti per tanti motivi, per uno forse ancor più che per tutti gli altri... I due indizi più significativi sono già nel titolo di questo post. E che il countdown abbia inizio.

Allie


(Foto da http://www.barryhuggins.com/images/book%20tutorial%20images/storm-in-teacup_final.jpg)

domenica, maggio 16, 2010

We Are Golden

Mi ripeto sempre che dovrei imparare a vivere nel presente. Non è esatto, in realtà: dovrei imparare imparare a capire come percepirò il mio futuro una volta che sarà diventato passato. Dedico (spreco) un sacco di tempo a valutare i pro e i contro di ogni minima scelta, ma sono incapace di vedere "the big picture". Se ci fossi riuscita al momento della prima grande Decisione Per La Vita avrei capito che molte delle cose che ho inseguito in giro per il mondo potevo trovarle iscrivendomi alla SSLMIT subito dopo il liceo. Molte volte ho dichiarato che anche tornando indietro nel tempo avrei rifatto le stesse scelte accademiche, cosa che in buona parte resta vera: volevo studiare letteratura, ho seguito corsi fondamentali, incontrato docenti veramente validi e avuto occasioni importanti di crescita come gli scambi all'estero. Epppperò. Sarà che scrivo dopo la bellissima festa per il ventennale SSLMIT, ma ci sono molte cose del polo forlivese che mi avrebbero cambiato la vita. Probabilmente sarebbe stata una dura lotta coi livelli di stress che ho potuto notare nelle amiche sslmitiane e sicuramente vivere a Bologna ha avuto i suoi vantaggi, però la neoventenne Scuola Interpreti presenta alcune caratteristiche che mi sono mancate in tutti gli anni in via Cartoleria. A parte l'ottimo corpo docenti e la qualità delle risorse, la vera rivoluzione è che la gente alla SSLMIT ci crede. Crede in quello che fa, crede nell'imparare davvero le lingue, nel viverle fino in fondo, nel costruircisi un futuro, nel partecipare attivamente e nello sviluppare un senso critico e una capacità organizzativa difficili da trovare altrove. Prende sul serio gli impegni accademici, studia davvero (la biblioteca è aperta e frequentata fino alle 22), organizza study meeting e approfitta delle opportunità di apprendimento extra. Ma sa anche prendersi in giro con un'autoironia mai scontata, sa che dovrà ingegnarsi per far fronte all'immancabile "perplessità" (cit.) post-lauream. Naturalmente non posso generalizzare, nè negare di aver incontrato persone importanti anche nel labirinto di Lingue. Posso però dire che il master, per quanto breve, mi ha aperto un mondo di discussioni sugli argomenti che amo di più. lingue, cinema e letteratura, ma soprattutto mi ha regalato amicizie che sanno ridarmi speranza anche quando mi sento fuori dal mondo. You know who you are. Ora stiamo a vedere come si configura il dottorato: manca la dimensione di quasi-convivenza, ma che bello avere colleghi simpatici e potermi finalmente dedicare al tipo di ricerca che mi interessa davvero. E pensare che posso essere linguisticamente Hermionesque finchè mi pare e cercare di trasformare davvero le mie passioni nel sogno di una professione. "No giving up when you’re young and you want some".

Allie

sabato, marzo 20, 2010

"Don't analyse, don't go that way..."

La musica è un dono. La competenza musicale invece è un dono che non ho, nè a livello di performance (escludendo quell'ottava scarsa che so tirar fuori da un flauto dolce e i tre accordi di numero che la mia povera vecchia chitarra subiva sotto i miei polpastrelli inesperti), nè a livello di critica (caro Piero, non sono nemmeno degna di leggerti, io che non distinguo una nota dall'altra). Però la musica la so vivere. Mi condiziona, mi dà carica, mi culla senza pretendere che sappia decodificarne i meccanismi. E anche se vorrei "fare di più" sono già felice di potermela sentire nella mente e nell'anima, di poterne godere in maniera diretta e non mediata, istintivamente (animalinstinctivamente!). Non voglio analizzare perchè mi piacciono certi gruppi o certi generi invece di altri; i motivi sono tanti, tautologicamente potrei dire per "piacere acustico", ma non importa granché. Quello che conta, che ha sempre contato, sono le emozioni che la musica riesce a trasmettermi, e naturalmente quella dal vivo ha un potere ancora più forte in questo senso. Per me un concerto, un *bel* concerto, è un evento da attendere con ansia, da vivere appieno assorbendone tutta l'energia per poi portarla con sè. Nel corso degli anni, diciamo dai 13 in poi, sono stata a un discreto numero di concerti e festival, magari un giorno cercherò di ricostruirne un elenco approssimativo (a breve ci sarà giusto un quindicesimo anniversario da commemorare :-) ). Ho visto artisti diversi tra loro e vissuto le varie esperienze con un bagaglio personale di volta in volta diverso e con compagni d'avventura diversi (ma Andrea vince su tutti per presenze!)... ma l'emozione in fondo non è cambiata. Quest'anno ("scolastico", si intende!) ho avuto la fortuna di rivedere dal vivo tre gruppi che avevo amato sin dall'adolescenza... naturalmente sono cambiati loro e sono cambiata io, ma ritrovare la passione è stato automatico e tutte e tre le serate si sono rivelate davvero memorabili. Dei Green Day a novembre ho già parlato, di Joey Cape e Tony Sly (ma soprattutto Joey Cape!) avrei dovuto scrivere a caldo a fine febbraio (un tripudio di rivisitazioni acustiche, trips down memory lane e la gioia post-teen-crush di una foto con Joey!)... ma al momento nelle mie orecchie risuonano ancora (egggraaazzzie, c'ho le cuffie!) le note dello splendido concerto milanese dei Cranberries di qualche giorno fa. Il tour della reunion, l'unica data italiana (a cui poi in realtà ne seguiranno altre durante l'estate), un saluto alla "mia" Milàn, l'immenso Mediolanum Forum di Assago stracolmo di gente... e soprattutto la carica infinita di Dolores. Credo fosse il mio quinto o sesto concerto dei Cranberries, includendo il Taratatà, l'MTV Day e la trasferta fiorentina... ma valeva davvero la pena di ripetere l'esperienza. Una set list a cui non mancava quasi nulla (al momento fra le grandi assenze mi viene in mente solo Promises), con brani tratti un po' da tutti gli album e lo splendido atto finale di Dreams.

"I know I've felt like this before
but now I'm feeling it even more..."

Allie

venerdì, marzo 12, 2010

Sostanza dei sogni miei...

La notte è fatta per sognare... e se non si riesce a farlo dormendo ci si accontenta di farlo ad occhi aperti... che va bene lo stesso, perchè ogni tanto è giusto ricordarci della "miglior cosa / Che [ci] sia successa..."

Allie

mercoledì, marzo 10, 2010

Del deprezzamento dell'informazione "nell'epoca della sua riproducibilità tecnica"

Amo Internet. Amo la praticità dei cellulari (senza troppi fronzoli, a dire il vero, ma tant'è). Amo poter raggiungere amici lontani in the blink of an eye, comunicare rapidamente, scambiare informazioni e materiali con pochi clic. Mi rattristano, però, gli effetti collaterali dell'era dell'informazione e della comunicazione istantanea. Si parla sempre di information overload incitandono i poveri Wilfers idealisti e senza bussola a scremare le valanghe di parole, immagini e suoni con cui i nuovi media (e in particolare la rete) ci sommergono in tempo reale. Un problema che ben conosco, certo. La mia ansia da prestazione accademico-intellettuale mi fa soccombere più e più volte sotto il peso della fase di recupero materiali, tanto che il momento di sintesi e rielaborazione viene rimandato all'infinito.

Ma non è questo che mi preoccupa, in realtà. Non sono certo la prima persona che si mette a speculare sull'evoluzione della comunicazione e delle relazioni interpersonali sotto l'influenza dei new media, ma nel mio piccolo mi permetto alcune considerazioni un po' amare, che non brilleranno per scientificità ma che sento di dover esprimere.

Banalità "economica" di partenza: la diffusione e la reperibilità illimitata di un prodotto o un servizio ne fanno crollare il prezzo (e di conseguenza il valore che istintivamente vi attribuiamo). Ora potrei riportare i miei quanto mai arzigogolati percorsi mentali intorno a questo argomento, ma in fondo arrivare posso arrivare al dunque anche in direttissima: non solo la possibilità di accedere istantaneamente a qualsiasi tipo di informazione può portare, e mi si perdoni il moralismo démodé, a "godersi meno le cose", ma credo che la nuova comunicazione senza più limiti di spazio e tempo tenda anche alla necrosi relazionale.

A livello di comunicazione vocale si verifica una serie di fenomeni alienanti che rischia di annullare gli effetti positivi di aggregazione: nel comunicare il proprio hic et nunc se ne perde la specificità spazio-temporale, nell'inseguire il sogno dell'Altrove (cosa che io ho sempre fatto, anche prima dell'avvento delle nuove tecnologie) ci si costruisce una collocazione che in realtà non ha referenti concreti, non si è mai nè "qui" (perchè ci si aliena dal contesto) nè "là" (perchè appena si riattacca si chiude il portale del teletrasporto). Non fraintendemi: continuo a essere felice di poter "vivere" momenti "altri" (e altrui), vicariously, ma a volte cercando di "essere" in troppi luoghi contemporaneamente si finisce per non essere in nessun dove.

Quello che percepisco come il problema più grande, tuttavia, è la deresponsabilizzazione insita nei nuovi meccanismi di comunicazione scritta: e-mail e sms, che pure sono il mio pane quotidiano, portano con sè, oltre all'indubbia comodità del contatto virtuale istantaneo gratuito (o comunque relativamente economico) a prescindere dalle distanze, uno svilimento dell'atto comunicativo generato proprio dalla facilità di quest'ultimo e dalla sua indipendenza da limiti spaziali e temporali. Salvo quando espressamente specificato, un'e-mail o un sms non richiedono al destinatario una risposta immediata, tanto non vi sono limiti di orario nè attese per la consegna del messaggio. Benissimo, per certi versi, certo a noi insonni fa molto comodo poter sbrigare di notte la corrispondenza che non abbiamo smaltito di giorno, senza timore di disturbare.

Il problema è che per molti la libertà di rispondere quando si preferisce degenera nella libertà di rispondere tout court. C'è caso e caso, ovviamente, e anche a me capita di farmi viva dopo secoli o anche di dimenticarmene del tutto: so bene che ognuno di noi è chiamato a seguire sempre più calendari e canali di comunicazioni diversi ed è fisiologico che qualcosa si perda per strada. Ma la deformazione mentale che porta a pensare che la rapidità di contatto e il costo limitato o inesistente determinino anche una svalutazione del contenuto e addirittura dell'atto della comunicazione, quella no che non è fisiologica, signori miei. Quella, a casa mia (e a costo di sembrare ancor più anacronistica), si chiama maleducazione, menefreghismo, mancanza di rispetto. E non è questione di suscettibilità: è semplicemente aberrante che da innovazioni tecnologiche giunte nel nome della praticità si arrivi alla svalutazione della comunicazione stessa, ovvero dell'atto fondamentale delle relazioni interpersonali.

Oh, certo, per cliccare su "invia" mi è bastato un secondo. Ma magari per trovare quell'informazione che mi avevi chiesto ci ho messo mezz'ora. Magari per mandare una decina di messaggi organizzativi personalizzati non ci vuole solo quel minutino scarso che tu ipotizzi nel vedere i miei 160 caratteri. Magari per rileggerti quel testo "che tanto era una paginetta scarsa" ci ho messo tre ore. O magari chissenefotte di quanto ci ho messo. Magari la cosa importante è che ho pensato a te, proprio a te, per un minuto, per un'ora o per un giorno, e che il dannato filtro telematico non ti trasmette questo punto cruciale.

Ma naturalmente, come per tante "derive" di questo brave new world, c'è ben poco da fare, oltre a lottare contro i soliti mulini a vento. Mi accontento quindi di far sapere a voi che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui che da qualche parte esisterà sempre qualcuno che toh, vorrà proprio comunicare con voi. E, incredibile dictu, si aspetterà persino un'interazione.

Allie

martedì, febbraio 02, 2010

Zunge

Poichè sono nata e cresciuta in un ambiente in cui le lingue straniere venivano (e vengono) studiate, insegnate e soprattutto coltivate con dedizione e genuine fascination, le riflessioni linguistiche per me sono sempre state all'ordine del giorno. Riflessioni in ogni senso, dalle speculazioni più ragionate all'istintivo piacere o fastidio che provo nel leggere o sentire determinati grafemi o suoni. Naturale, quindi, che sia sempre stata più o meno consciamente attratta dai racconti incentrati su interpreti, traduttori o comunque situazioni di plurlilinguismo o di glottodidattica. Mi ha sempre affascinata, ad esempio, l'idea che in un dato momento della storia ci siano state persone che hanno dovuto *inventarsi* come interpreti, persone che hanno dato il via alla mediazione linguistica senza tutti i mezzi che abbiamo oggi. E non parlo solo di tecnologie, diffusione dell'informazione, stampa e quant'altro: penso spesso a come dev'essere avvenuto Il Primo Tentativo di Imparare Una Lingua Altrui, il primo superamento dei confini linguistici. D'accordo, indicare un albero e pronunciarne il nome nella propria lingua in modo che l'interlocutore allofono capisca è un conto, ma come spiegare ad esempio tutte le regole grammaticali senza un metalinguaggio, che sia la propria lingua o quella dell'altro? Sicuramente esisteranno mille teorie in proposito, ma l'inizio della lotta per sconfiggere la maledizione di Babele continua a farmi riflettere. Ci pensavo anche ieri notte, dopo aver finito il bel racconto (o romanzo breve, che dir si voglia) di Tawada Yoko "Il Bagno", che a sua volta mi ha fatto tornare in mente i racconti di Ingebord Bachmann contenuti nella raccolta "Il Trentesimo Anno", e ovviamente in particolare "Undine geht". Nelle poche pagine di Tawada Yoko si fondono mediazione linguistica e metamorfosi, sottrazione della lingua (letteralmente), l'immagine della sogliola (Seezunge, lingua del mare) come metafora femminile e fonatoria, ma anche un provocatorio paragone fra l'interpretazione e la prostituzione:

"Un’interprete è come una prostituta che si vende ai soldati di occupazione e viene odiata dagli uomini del suo paese. Evidentemente credono che le parole tedesche che si riversano nelle mie orecchie siano una sorta di sperma."

Non ho mai elaborato la cosa in questi termini, ma è pur vero che dietro la magia della mediazione fra lingue diverse si cela il lato oscuro della minaccia di "ibridazione", di "svendita", di "tradimento" delle proprie radici e della propria identità. Minaccia percepita non dal traduttore o dall'interprete, ma "da Tutti Gli Altri" che inconsciamente gliela riversano addosso. Personalmente ho sempre pensato che l'amore per le lingue e il desiderio di apprenderne il più possibile sia invece una forma di self-definition... ma devo ammettere che spesso mi sono trovata d'accordo con la citazione con cui chiuderò questo post:

"Io sono francese in Germania e tedesco in Francia; cattolico tra i protestanti, protestante tra i cattolici; filosofo tra i religiosi e baciapile tra i liberi pensatori; uomo di mondo tra i dotti e pedante tra gli uomini di mondo; giacobino tra gli aristocratici e nobile, uomo dell'ancien régime, e così via, tra i democratici. Sono sempre fuori luogo, ovunque straniero..."

Adalbert von Chamisso, Lettera a Madame De Stael (1810)

Allie

venerdì, gennaio 29, 2010

"Who wrote Holden Caulfield?"

"I shuffle through my mind
To see if I can find
The words I left behind..."

Green Day, "Who wrote Holden Caulfield?"


Un pensiero per ricordare un grande autore che si è spento ieri... Ho vissuto J.D. Salinger in tanti modi, anche solo considerando The Catcher in the Rye, le due lingue in cui l'ho letto e il bel reading a opera della Compagnia Fantasma a cui ho assistito l'anno scorso. Ora che sto per dedicare i prossimi anni allo studio della youth culture americana si impone indubbiamente una rilettura... Ma voglio approfittarne per ricordare (a me stessa e a eventuali lettori) che oltre al capolavoro che tutti conoscono almeno per sentito dire la produzione di Salinger offre anche una serie di altre piccole gemme da riscoprire: Franny & Zooey, ma anche i Nove Racconti, tra i quali ricordo in particolare il geniale "A Perfect Day for Bananafish".

"Well, they swim into a hole where there's a lot of bananas. They're very ordinary-looking fish when they swim in. But once they get in, they behave like pigs. Why, I've known some bananafish to swim into a banana hole and eat as many as seventy-eight bananas." He edged the float and its passenger a foot closer to the horizon. "Naturally, after that they're so fat they can't get out of the hole again. Can't fit through the door."

Allie