mercoledì, ottobre 31, 2007

Happy Hallowe'en!

"This day anything goes."

A.F.I., "Halloween"

Come sapete adoro questo giorno... ma purtroppo qui il primo novembre non è festa, anzi, nel mio caso è il giorno più pieno della settimana, quindi i festeggiamenti si limitano al weekend precedente. Stasera proverò ad andare al concerto di mezzanotte, per il resto mi dedicherò al fascismo e al consumismo, tanto per occuparmi comunque di qualcosa di demoniaco! Sigh, non ci sono nè tempo nè adepti per una horror movie night... mi toccherà recuperare appena tornerò nel mio mondo! Per fortuna sabato pomeriggio sono riuscita ad approfittare della giornata uggiosa per vedere al cinema la versione 3D di Nightmare Before Christmas... buon Hallowe'en a tutti!!




Allie

martedì, ottobre 23, 2007

"Don't you just love New [England] in the fall?"

In attesa di aver tempo di aggiornare il blog come si deve, ecco un paio di considerazioni per immagini.

1) L'autunno è decisamente l'aspetto migliore del New England...


2) ... ma gli Stati Uniti sono al di là di ogni possibilità di recupero! (Etichetta incollata sul coperchio di una scatola per riporre i vestiti... o quel che al momento non ci serve!).


Allie

lunedì, ottobre 15, 2007

Lezione di Vita...

... a.k.a. "Non sarebbe ora di smetterla con le seghe mentali?". Scusate la finezza, ma a volte vorrei davvero che i miei pensieri si muovessero solo in modo lineare... e a volte è anche il caso di ricordarmi che sono io a pilotarli!!!
Copio-e-incollo da http://www.nonsolotigullio.com/belinate/index.php?IDpagina=107
Enjoy!

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Supponiamo che un tipo di nome Luigi si senta attratto da una donna di nome Teresa.

Lui le propone di andare assieme al cinema, lei accetta. I due si divertono. Alcune sere dopo lui la invita a cena e di nuovo stanno bene assieme. Continuano a vedersi regolarmente e nel giro di poco tempo nessuno di loro vede più qualcun altro. Una sera, in macchina, rincasando, a Teresa viene in mente una cosa e senza pensarci dice:
- Hai pensato che giusto oggi sono sei mesi che ci vediamo ?
Si fa silenzio in auto. A Teresa quel silenzio sembra pieno di significati.

Pensa: (Mi chiedo se gli avrà dato fastidio che abbia detto questo, forse si sente oppresso dal nostro rapporto; forse crede che io voglia forzarlo a prendersi un impegno che lui non desidera o del quale non é molto sicuro).

Ma Luigi sta pensando: - (Ma guarda, sei mesi...)

E Teresa pensa : (- Ma neanche io sono sicura di volere questo tipo di rapporto. A volte mi piacerebbe avere un po' più di libertà, per aver tempo di pensare a ciò che voglio veramente, per capire la direzione verso la quale ci stiamo muovendo lentamente... voglio dire, verso dove stiamo andando? Continueremo semplicemente a vederci a questo livello di intimità? Ci muoviamo verso il matrimonio? Figli? Una vita assieme? Sono pronta per questo tipo di impegno? Conosco veramente questa persona?)

E Luigi pensa: (- ...Quindi questo significa che era... vediamo... febbraio quando iniziammo a uscire, che era giusto dopo aver lasciato l'auto dal meccanico, cioè... vediamo il contachilometri... merda, devo cambiare l'olio alla macchina.)

E Teresa pensa: (- E' sconvolto. Glielo leggo in faccia. O forse sto interpretando male. Forse vorrebbe di più dal nostro rapporto, più intimità, più impegno; forse lui ha sentito prima di me che ho delle riserve. Sì, scommetto che é questo. Per questo non vuol dire niente dei propri sentimenti. Ha paura di sentirsi rifiutato.)

E Luigi pensa: (- Devo dire loro di guardarmi di nuovo il carburatore. Non mi importa niente di quello che dicono quegli imbecilli, non va ancora bene. E questa volta sarà meglio che non diano la colpa al freddo. Che freddo ? Ci sono 30 gradi fuori e questa cosa cammina come un camion dell'immondizia, io pago quei ladri incompetenti un sacco di soldi.)

E Teresa pensa: (- E' arrabbiato. E io non posso biasimarlo. Anch'io lo sarei. Dio, mi sento così colpevole, facendogli passare questo, ma non posso evitare di sentirmi come mi sento. Semplicemente non mi sento sicura.)

E Luigi pensa: (- Probabilmente mi diranno che ha solo tre mesi di garanzia! Si, è così, é giusto quello che mi diranno quei disgraziati.)

E Teresa pensa: (- Forse sono troppo idealista, aspetto che arrivi il principe azzurro sul suo cavallo bianco quando ho al mio fianco una persona perfettamente comune, normale e buona, una persona con la quale mi piace stare, una persona che davvero é importante per me e alla quale io importo. Una persona che soffre per le mie egocentriche fantasie da adolescente romantica.)

E Luigi pensa: (- Garanzia ? Vogliono una garanzia?
Gliela dò io la garanzia, gliela metto al ...)

- "Luigi !" - dice Teresa a voce alta
- "Cosa ?" - dice Luigi sorpreso
- "Per favore non ti torturare così" dice lei, con gli occhi velati di lacrime,
- "Forse non avrei dovuto dirti... O Dio, mi sento così..."
e si interrompe singhiozzando
- "Cosa c'è?" - dice Luigi
- "Sono così stupida" - singhiozza Teresa -
"Voglio dire, lo so che non esiste quel principe.
Davvero lo so. E' stupido. Non esiste nè cavaliere nè cavallo..."
- "Non c'é il cavallo?" - dice Luigi supìto
- "Pensi che sono stupida, vero?" - dice Teresa
- "Ma no" - dice Luigi, contento finalmente di avere una risposta certa
- "E' solo che... solo che... ho bisogno di un po' di tempo" - dice Teresa

C'è una pausa di 15 secondi durante la quale Luigi, pensando più velocemente che può,
cerca di dare una risposta sensata. Finalmente gliene viene in mente una che può funzionare:
- "certo, ti capisco" - dice lui

Teresa, fortemente emozionata, prende la sua mano:
- "Oh, Luigi, davvero pensi questo ?"
- "Cosa?" - dice Luigi
- "Questo sul tempo" - dice Teresa
- "Ah" - dice Luigi - "sì, sicuramente..."

Teresa si volta per guardarlo e fissa profondamente i suoi occhi, rendendolo alquanto nervoso per quello che lei gli potrà dire, soprattutto se ha a che vedere con un cavallo.
Alla fine lei gli dice: - "Grazie Luigi"
- "Grazie?" - dice Luigi

Lui la accompagna a casa e lei si sdraia nel suo letto. Essendo un'anima che si tortura e si tormenta, piange fino all'alba. Intanto Luigi torna a casa sua, apre un sacchetto di patatine,
accende la tele e si immerge istantaneamente nella replica di una partita di tennis tra due giocatori cechi dei quali non ha mai sentito parlare. Una debole voce in uno degli angoli più reconditi della sua mente gli dice che qualcosa di importante è successo nell'auto, ma è del tutto
sicuro che non c'era modo comunque di capirlo, per cui è meglio non pensarci.

Il giorno seguente Teresa chiamerà una delle sue migliori amiche, o forse un paio di loro, e
parleranno della cosa per sei ore di seguito. In forma dolorosamente dettagliata, analizzeranno
tutto quello che lei ha detto e tutto quello che lui ha detto, ritornando su ogni punto una e più
volte, esamineranno ogni parola e ogni gesto per quanto minimo, considerando ogni possibile ramificazione. Continueranno a discutere il tema varie volte, per settimane, forse per mesi, senza arrivare mai a conclusioni definitive ma senza mai neanche annoiarsi del tema.

Intanto Luigi un giorno, mentre starà guardando una partita di calcio con un amico, distrattamente dirà:
- Luca, sai se Teresa ha mai avuto un cavallo?

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Allie, in un raro momento di lucidità. :-)

domenica, ottobre 14, 2007

A Cup of Tea Solves Everything...

... and so does a movie, by the way.
Chi frequenta facebook avrà forse notato che, oltre ad aver dispensato stelline per circa 700 movie ratings, sono anche iscritta al gruppo che dà il titolo a questo post. Non sarà come "Chapstick Addicts" dei bei tempi di SixDegrees, ma sicuramente è qualcosa che mi definisce e che ha continuato a farlo in tutte le fasi della mia vita. E nei momenti in cui i dubbi abbondano e il futuro è tutto da plasmare, quando capita di sentirsi un po' (molto) persi, fa davvero bene ritornare agli elementi più costanti del proprio modo di essere. Gli amici ovviamente sono sempre nei miei pensieri (nonchè sul mio muro: al redivivo tributo fotografico se ne affiancherà presto un secondo, grazie alla seconda infornata di foto ricevute ieri) e nel mio computer (grazie a tutti quelli che si sono fatti vivi! E' sempre una gioia leggerv
i e ascoltarvi!) e il suddetto laptop funge nuovamente anche da stereo grazie alle casse acquistate da Barbara, in partenza per l'Italia dopo nove anni americani (!); la fase musicale attuale è piuttosto soft (in questo momento mi rilasso sulle note di "Margaritaville"), ma non temete, Joey Cape sa sempre come riemergere! I libri poi naturalmente non mancano, anzi, campeggiano su scrivania, mobili, letto e quant'altro (al momento sono alle prese con Aurora Dawn, ambientatio in un'agenzia pubblicitaria... schoolwork, I swear!)... ma in queste due settimane sono anche riuscita a coltivare un po' le due passioni di cui sopra. Overdose di tè nero alla vaniglia e al gelsomino, nonchè di film... ed ecco che mi sento di nuovo me stessa! :-) Il tè ovviamente non è mai mancato fra i generi di sopravvivenza che tengo nella dispensa (diciamo la solita decina di confezioni diverse!), ma un paio di settimane fa sono finalmente riuscita ad esplorare Tealuxe, un delizioso locale a cui passavo sempre davanti l'anno scorso a Cambridge, senza mai decidermi ad entrare, principalmente perchè è uno di quei posti in cui non si va per un tè veloce, ma per sedersi con calma, con qualcuno o con un buon libro... Una sorta di Starbucks per teinomani, insomma, ma con più personalità e più varietà. Ci sono stata con due ragazzi francesi, Caroline e Nicholas, nel tentativo di riprendere un po' i contatti al di fuori del dipartimento. Il Black Tea Vanilla & Jasmine di cui sopra mi ha conquistata in un batter d'occhio! Poi mi piace il fatto che si possa avere il tè "in a proper way", direbbe Clare, se si ha tempo di star lì (teiera, tazza, piattino...), ma anche "to go" se si ha fretta... lo so che non c'è confronto, ma è bello potersi portare a lezione qualcosa di più esotico del mio (pur adorato) English Breakfast! I commessi poi sono gentilissimi, l'altro giorno uno mi ha regalato una pastina... e cinque minuti prima il gestore di una sorta di emporio indiano mi aveva regalato due braccialettini e un assurdo finger puppet a forma di Maggie Simpson (nonchè dieci minuti di consigli karmici)! La cosa mi ha colpita, non mi capita praticamente mai (a parte i campioncini di Bottega Verde, ma quella è un'altra storia!) e giovedì mi è successo due volte di fila, si vede che stavo "indossando il mio sorriso migliore"! Insomma, una giornata tutto sommato positiva, con esilaranti filmati sulle pubblicità per le campagne elettorali made in USA ("[risata in crescendo] Spiro Agnew for vice-president? It would be so funny if it weren't so serious!"... ma ve l'immaginate una campagna del genere in Italia?) e tre ore di swing & salsa... il ballroom dancing non è il mio sport, però a maggior ragione sono doppiamente contenta quando mi costringo ad andarci, sia perchè fare movimento aiuta davvero tanto a sfogare lo stress, sia perchè come al solito tenderei ad evitare di fare cose che non so fare, e invece quest'anno uno degli obiettivi era mettersi in gioco... senza contare che con un bravo leader anche la più impacciata delle followers migliora nettamente! Ringrazio quindi l'assillante e superpignolo Brandon, geologo del Nebraska! :-)

La nostalgia a dir la verità si è fatta sentire molto quando ho aperto il pacchetto appena giunto da Ponticella, con appunti vari, le foto di cui parlavo prima e una letterina della mamma... ma sono stata brava ad annegare la tristezza nel tè - oltre che nello studio: Alla festa della rivoluzione, saggio storico su Fiume, mi ha regalato perle futuriste come il prototipo dell'Ardito perfetto... ma è grave ridere delle battute fra storici? :-p Speaking of which, Lorenzo se n'è tornato in Italia per due settimane e medita di tornare anche a Thanksgiving, dispensando consigli sui voli che ha trovato... mannaggia a lui! Io continuo a non sapere cosa fare, avrei voglia di stare un po' a casa e in effetti per una volta le biblioteche italiane farebbero comodo (ci vuol pure una scusa professionale!), e i costi sono ancora affrontabili... ma non so, ci penserò ancora qualche giorno! Nel frattempo però sono decisa a far di tutto per godermi la vita e le opportunità di qui, per quanto permesso dalla mole di lavoro. Ieri mi sono lanciata: Kaffeestunde al dipartimento di tedesco, giusto per avere la conferma di quanto ho bisogno di far conversazione... ma non demorderò! La sera uscita impromptu con sette fanciulle... l'esperienza della "mulierada", come diceva Elena, ha certamente dei lati positivi, come la novità ( :-p) e il bonding in stile Piccole Donne (scena che questa settimana si è ripetuta spesso, dopo che la povera Erica è stata operata di appendicite... anzi, ne approfitto per ribadire ancora una volta che l'ammiro tantissimo per la sua forza d'animo!). Certo è che non sono abituata all'eccesso di estrogeni... mi sentivo decisamente alienata, a dispetto di tutti i tentativi di ritrovare me stessa! :-) Comunque mi sono divertita, una bella cena in un locale pan-Asian e poi un drink in un paio di locali con Erika e Lisa (nata a Marostica!!), giusto per avere un assaggio della nightlife di Providence (e sorbirci pick-up lines su Sex & The City e Skittles tenute in mano da chissà quanto da un tizio che mi ha fatto venire in mente Pig Pen). Oggi poi sfruttando la bella giornata sono andata con Rachael e Aliza (due ragazze molto carine di AmCiv che non vedevo da secoli) a vedere la Soapbox Race, un evento mooooolto americano organizzato dalla Red Bull in cui i concorrenti gareggiano su macchinine che si costruiscono da sè con vecchie cassette e che decorano tipo carri allegorici. Poi tappa da Tealuxe (oggi Victorian Rose... notevole!) e studio alla Science Library (foto a destra), un buffo posto diviso in aree da 50, 25 e 0 decibel a seconda di quanto si può parlare! E per rinfrancar lo spirito... un salto al mall (la quintessenza della small town americana: tutti al mall il sabato sera!! Aiutoooo!) per una breve shopping session e un filmino al cinema. Sorvoliamo sul titolo scelto (Good Luck Chuck... troppo slapstick e con troppa volgarità gratuita, mi è scaduta Jessica Alba... ma immagino che possa candidarsi tranquillamente come film abbbbestia dell'anno, quindi chi è interessato vada pure a vederlo speranzoso!)... decisamente non mi riferivo a questo all'inizio del post! A dire il vero non pensavo nemmeno a Provincia Meccanica, visto la settimana scorsa a casa di Erica, Cristina e Stephen e decisamente deludente (e basta coi trentenni e le crisi di coppia!), nè a Memories of a Murder, thriller coreano che può piacere se visto come documentario, ma che per il resto non convince affatto, checchè ne dicano le recensioni intellettualoidi che estetizzano l'esotismo in celluloide. Pensavo piuttosto alla bella serata di giovedì, double feature prima al cinema (all'Avon, su Thayer Street, l'unica via "viva" del campus - ma il cinema pare uscito dagli anni '50!) con The Jane Austen Book Club (un po' cheesy, d'accordo, ma in fin dei conti abbastanza carino... e ovviamente ora ho voglia di riprendere in mano Orgoglio e Pregiudizio!) e poi da Erica e Stephen con Gli ultimi giorni di Sophie Scholl, un film tedesco molto intenso sulla resistenza anti-nazista, con una bravissima attrice protagonista. Non è una visione facile, ma ne vale la pena, anche solo per vedere le cose sotto un'altra prospettiva, pensando a chi aveva davvero il coraggio di cambiare il mondo. E questo forse è uno dei lati più belli della vita nei campus americani, si è talmente pieni di stimoli che ci si sente spronati a fare, esplorare, sperimentare, vivere. Per me vuol dire molto: quando comincio a rendermene conto significa che sto tornando in sella, in qualche modo. Ora resta solo da capire in che direzione galoppa il mio Pegaso.

Allie

mercoledì, ottobre 03, 2007

"Und wenn du lange in einen Abgrund blickst...

...blickt der Abgrund auch in dich hinein."

(Se guardi a lungo nell'abisso, anche l'abisso guarda in te)

-Friedrich Nietzsche

Non è solo colpa della giornata (e della nottata) in compagnia di Soffici, di Corradini e del Papini nichilista. Non è solo una inside joke per pochissimi eletti (anche se tutto dipende dall'angolazione... :-p ). E' che in fin dei conti la sovrapposizione dell'osservatore e dell'osservato non è così improbabile, che si tratti di un viandante e dell'infinito, di un bambino e di un lupo in uno zoo (non sottovalutate la produzione per ragazzi di Daniel Pennac), di un'idealista confusa e della sua vita. Mi è capitato più volte, a ben vedere: ho fissato l'America tanto a lungo che l'America ha cominciato a fissare me. A fissarmi e a chiamarmi, con risultati alterni, ma riuscendo sempre e comunque ad influenzarmi in qualche modo. Il problema è che, come scrivevo un paio di mesi fa, "cerco un'America che forse non c'è nemmeno più", inseguo un mondo yankee fatto di tanti piccoli particolari che sicuramente hanno plasmato la mia idea degli States, ma che sono ben lungi dal rappresentare la totalità della realtà in cui mi sono rituffata. Una realtà che pure è circoscritta all'ambito accademico e alla East Coast, una realtà in cui posso ancora trovare appigli concreti di ogni genere.... ma che non è soltanto il campus, CVS, Au Bon Pain, le agende Collegiate e lo spirito di Fitzgerald, nonostante il mio subconscio si ostini a crederlo. Prima di Penn avevo una concezione decisamente vaga di questo strano universo, che pure mi attirava da sempre. L'Overseas era sicuramente un progetto che vagheggiavo da tempo, ma mi sono resa conto soltanto ex post che si trattava in realtà di un'idea, un mito personale, influenzato dalla mia beneamata letteratura nordamericana forse più che dal resto dell'immaginario collettivo, ma comunque una concezione assolutamente avulsa dalla concretezza dell'esperienza che ha poi preso corpo. Esperienza che per altro è stata incredibile e irripetibile, come saprà chiunque mi abbia sentito tessere le lodi della mia Philly. Sono stata davvero fortunata, a conti fatti, ma ciò non toglie che il percorso per arrivarci si sia basato contemporaneamente su una grande forza di volontà e sul principio di inerzia. Sembra assurdo, ma è stato proprio così. Ho sempre detto che avrei fatto un anno di università negli States e l'autunno del 2002 pareva essere l'ultima chance per fare domanda; era per altro il momento giusto per partire, anzi, avevo veramente *bisogno* di staccare, per tutta una serie di motivi. Insomma, sembrava l'opportunità perfetta di fare al momento giusto qualcosa che avevo sempre desiderato. Eppure per arrivare a quel 25 agosto 2003, alle sei del mattino al Marconi con i Boys (on tour) e la Chiara a salutarmi in aeroporto, è stato necessario un lungo processo di autoconvincimento che pochi sospettano. Se da fuori tutto poteva sembrare perfetto, dentro di me regnava la paura per il grande salto. Ricordo nettamente la prima notte a Utrecht, nel luglio del 2002, quando ho giurato a me stessa che non avrei mai fatto domanda per l'Overseas per non sentire più il magone che provavo in quel momento. D'accordo che tutte le lacrime di quell'estate avevano una motivazione concreta e giustificabile che aveva poco a che vedere con un anno all'estero, ma per tutto il tempo del soggiorno olandese ho continuato a pensare che l'andarmene così lontano da casa non facesse per me, anche se alla fine dei conti quel mese fuori dal mio mondo mi ha lasciato un sacco di bei ricordi e mi ha regalato due delle persone più importanti della mia vita.
La verità è che tutta la trafila Overseas l'ho portata avanti su due binari diversi: su uno mi muovevo istintivamente, cercando una boccata d'aria fresca e inseguendo quel sogno astratto che ancora porto con me, galvanizzata dagli altri applicants (Jo e Monny in primis! Ma soprattutto il mitico porcello Melville che ci aspetta in qualche ranch del Kansas! :-p); ma sull'altro andavo avanti per un misto di razionalità ("è la cosa giusta per me in questo momento") e inerzia ("intanto faccio domanda, poi vedremo... per ora accetto, mal che vada posso sempre tornare sui miei passi..."). Non so se si vedesse, ma avevo davvero paura del salto, anche nei momenti di maggiore euforia per la grande avventura che stava per iniziare. The rest is history: un anno fantastico, intensissimo e super demanding, ma assolutamente indimenticabile ed ineguagliabile.
Ma un Overseas è una dimensione completamente diversa da quelle che ho vissuto dopo e da quella che sto vivendo ora. E' un periodo lungo, certo, ma in qualche modo ancora entro i limiti della "ritornabilità", della possibilità di reinserirsi nella vita di prima. La ripresa non è stata immediata, ricordo un lungo periodo di apatia e di assestamento, ma nell'anno successivo ho cominciato a costruire un piccolo mondo bolognese che si adattava molto meglio alla mia personalità rispetto a quello precedente. Un mondo dove non tutto era/è perfetto, certo, ma che mi manca sempre più ogni volta che me ne allontano. Parigi e Boston sono state due (lunghe) parentesi, in fondo, strumentalizzate in parte per la costruzione di questa nuova impresa; ma è solo ora che mi ritrovo faccia a faccia con il frutto di tutte le mie scelte e dovrò, a tempo debito, capire dove voglio andare a parare.
Paradossalmente il percorso che mi ha portata fin qui, nonostante sia stato spalmato su tre anni interi (ho iniziato nel 2004 a considerare la carriera accademica), è stato caratterizzato dallo stesso mix di esaltazione ed inerzia che mi ha portata a Philadelphia. Durante il secondo semestre a Penn ho cominciato a sentire un sacco di gente che faceva progetti per grad school e mi si è aperto un mondo che non avevo mai considerato prima; in fondo lo studio e la ricerca sono l'unico ambito in cui ho un minimo di competenza "pratica", ma prima di allora non avevo mai concretamente pensato di farne un percorso di vita. Non mancavano comunque infiniti tentennamenti, tant'è che alla fine, per tutta una serie di motivi, ho deciso di restare ancora un po' nell'ateneo bolognese e posporre l'epopea delle applications. Il progetto restava, anche se dilatato, ma sicuramente una grossa parte è stata portata avanti anche sull'onda di analoghe scelte altrui, in particolare di Stefano, ma anche di tutti quelli che si lanciavano in avventure post-lauream e mi riportavano a pensare che non fosse ancora giunto il momento di lasciare il mondo accademico. Sicuramente in me c'è molto della ricercatrice innamorata delle parole e della cultura, così come come c'è molto della viaggiatrice e dell'americanofila (intendendo per America quella personale miscela di letteratura, cinema, pop culture e meritocrazia che vorrei poter separari dai tanti aspetti negativi di questa nazione). Ma forse è proprio qui che l'abisso ha cominciato a guardare in me. Non ho ancora capito quanto peso abbiano avuto i miei vagheggiamenti cultural-letterari sulla mia stessa percezione del cammino che ho intrapreso. Per dirla in parole povere, nonostante io sia grata a tutto l'insieme di cose e di persone che mi ha permesso di arrivare qui, nonostante Brown sia una signora università, nonostante mi paghino per studiare (for once!), nonostante io possa relativamente spaziare fra Italian e American studies... non so se tutto questo sia davvero ciò che voglio. So solo che qui per ora non sono felice (e Vincenzo, che sono finalmente riuscita a sentire, dice giustamente: "E ti pare una cosa da niente?!?"). So che ho ancora mood swings pazzeschi, alterno l'euforia dell'esplorazione delle mille opportunità alla nostalgia profonda e all'incertezza su questa scelta che è probabilmente una delle più impegnative della mia vita. So che di giorno faccio ambiziosi progetti di ricerca e di sera cerco voli per tornare a casa. Perchè "casa", per chi ancora lo mettesse in dubbio, è e resterà quella di sempre, anche quando la gente mi dà per dispersa e non dimostra alcun interesse a costruire o mantenere piccole e grandi tradizioni e opportunità di condivisione (evito di precisare l'ultimo episodio di questo genere per non ricadere in polemiche inutili e perche' agli occhi dei "profani" potrebbe sembrare una questione priva d'importanza, ma ne approfitto per ringraziare una persona che in quell'occasione si è rivelata di una dolcezza infinita... you know who you are!). Mi ci sono voluti il tempo e la distanza per rendermi conto di quanto sono legata alla mia città, ma già da Parigi scrivevo della mia mutata percezione, e con Boston e soprattutto Providence la nostalgia non fa che aumentare. La conclusione per il momento è sempre la stessa: cerco di concedermi il tempo necessario per una valutazione obiettiva, e nel frattempo trovo ogni appiglio possibile per andare avanti. E in questo momento, alle quattro di mattina, con una stanchezza enorme e una giornata lunghissima davanti, la camomilla ai petali di rosa che mi attende fumante sul comodino mi sembra un discreto palliativo.

Allie

PS: prometto che il prossimo post sarà più allegro e colorato, ho due interi Jo(y)ful weekends da raccontare e finalmente posso uploadare le foto di questo periodo (grazie Erica!!).