domenica, dicembre 05, 2010

Hypodermic

"Doesn't matter who you've been
You're reaching in but you don't know where to begin..."

The Offspring - "Hypodermic"

Mentre scrivo di stereotyping and sense-making per qualche astruso motivo mi torna in mente questa vecchia canzone dei miei beneamati Offspring, una traccia forse sconosciuta a chi non si è spinto indietro oltre Smash e Ixnay, ma che a me è rimasta impressa. Eccomi di nuovo a tirare le somme, o quasi, di un altro intenso periodo all'estero. Il tutto mentre cerco di addentrarmi nei meandri della teoria dell'identità sociale, almeno quel tanto che basta per fornire un framework teorico alle mie analisi cinematografiche. (Ri)partire implica certamente rimettersi in discussione... ma (ri)tornare spesso è ancora più complesso... uno si plasma un'identità "nuova" in virtù di tutte le esperienze e le persone che incontra sul suo cammino, ma poi si ritrova all'improvviso a dover fare i conti con la (le) identità precedenti, custodite nei luoghi e nelle memoria collettiva (almeno di quelli che ancora si ricordano di lui!). E allora it "doesn't matter who you've been", or does it? Conta solo quello che si era prima, nel luogo a cui si fa ritorno? E che fare di quello che si è stati nel mezzo, nell'altrove spaziale e mentale? Francamente stavolta mi sento ancora meno in grado di rispondere. Passare qualche mese all'estero per certi versi è una magnified projection della fugace esperienza dell'altrove regalato da un libro o da un film: certo, è vita vera, a volte anche complicata da tutta una serie di questioni organizzative che ne rallentano la realizzazione vera e propria, ma contiene anche la dimensione dell'esplorazione, della possibilità, una gamma di opzioni che magari nel mondo "normale" non si prenderebbero nemmeno in considerazione o non esisterebbero tout court. Ecco, per la prima volta da quando ho cominciato a spostarmi sul serio ho cominciato a considerare la mia città d'origine come *una* tra le possibilità, non *la* mia dimensione di default. Me ne sono stupita io stessa, ho sempre visto il rientro come una normale conclusione del percorso, a volte anzi l'ho ricercato perchè provavo il desiderio di riappropriarmi di una realtà che sentivo molto più mia di quella in cui mi ero proiettata e con cui faticavo a venire a patti. Stavolta invece temo il pigeonholing che potrebbe aspettarmi, temo quel mondo lavorativo-accademico che ho sempre saputo ostile ma che ora più che mai mi sembra veramente saturo, inespugnabile e malato. Non che qui sia tutto rose e fiori, se non avessi la maggiorazione della borsa di studio probabilmente avrei dovuto far fagotto in quattro e quattr'otto, visto il costo della vita londinese, e tuttavia, anche se studenti e ricercatori sono in subbuglio anche qui, in qualche modo mi sembra che ci sia un minimo di respiro in più (ok, il termine di paragone rende tutto migliore...). Del resto mi sono resa conto da poco dell'ironia di vivere a Barons Court... nomen omen? Boh, quasi quasi ci spero, almeno avrei un mazzo di chiavi per entrare!


Allie

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