mercoledì, marzo 10, 2010

Del deprezzamento dell'informazione "nell'epoca della sua riproducibilità tecnica"

Amo Internet. Amo la praticità dei cellulari (senza troppi fronzoli, a dire il vero, ma tant'è). Amo poter raggiungere amici lontani in the blink of an eye, comunicare rapidamente, scambiare informazioni e materiali con pochi clic. Mi rattristano, però, gli effetti collaterali dell'era dell'informazione e della comunicazione istantanea. Si parla sempre di information overload incitandono i poveri Wilfers idealisti e senza bussola a scremare le valanghe di parole, immagini e suoni con cui i nuovi media (e in particolare la rete) ci sommergono in tempo reale. Un problema che ben conosco, certo. La mia ansia da prestazione accademico-intellettuale mi fa soccombere più e più volte sotto il peso della fase di recupero materiali, tanto che il momento di sintesi e rielaborazione viene rimandato all'infinito.

Ma non è questo che mi preoccupa, in realtà. Non sono certo la prima persona che si mette a speculare sull'evoluzione della comunicazione e delle relazioni interpersonali sotto l'influenza dei new media, ma nel mio piccolo mi permetto alcune considerazioni un po' amare, che non brilleranno per scientificità ma che sento di dover esprimere.

Banalità "economica" di partenza: la diffusione e la reperibilità illimitata di un prodotto o un servizio ne fanno crollare il prezzo (e di conseguenza il valore che istintivamente vi attribuiamo). Ora potrei riportare i miei quanto mai arzigogolati percorsi mentali intorno a questo argomento, ma in fondo arrivare posso arrivare al dunque anche in direttissima: non solo la possibilità di accedere istantaneamente a qualsiasi tipo di informazione può portare, e mi si perdoni il moralismo démodé, a "godersi meno le cose", ma credo che la nuova comunicazione senza più limiti di spazio e tempo tenda anche alla necrosi relazionale.

A livello di comunicazione vocale si verifica una serie di fenomeni alienanti che rischia di annullare gli effetti positivi di aggregazione: nel comunicare il proprio hic et nunc se ne perde la specificità spazio-temporale, nell'inseguire il sogno dell'Altrove (cosa che io ho sempre fatto, anche prima dell'avvento delle nuove tecnologie) ci si costruisce una collocazione che in realtà non ha referenti concreti, non si è mai nè "qui" (perchè ci si aliena dal contesto) nè "là" (perchè appena si riattacca si chiude il portale del teletrasporto). Non fraintendemi: continuo a essere felice di poter "vivere" momenti "altri" (e altrui), vicariously, ma a volte cercando di "essere" in troppi luoghi contemporaneamente si finisce per non essere in nessun dove.

Quello che percepisco come il problema più grande, tuttavia, è la deresponsabilizzazione insita nei nuovi meccanismi di comunicazione scritta: e-mail e sms, che pure sono il mio pane quotidiano, portano con sè, oltre all'indubbia comodità del contatto virtuale istantaneo gratuito (o comunque relativamente economico) a prescindere dalle distanze, uno svilimento dell'atto comunicativo generato proprio dalla facilità di quest'ultimo e dalla sua indipendenza da limiti spaziali e temporali. Salvo quando espressamente specificato, un'e-mail o un sms non richiedono al destinatario una risposta immediata, tanto non vi sono limiti di orario nè attese per la consegna del messaggio. Benissimo, per certi versi, certo a noi insonni fa molto comodo poter sbrigare di notte la corrispondenza che non abbiamo smaltito di giorno, senza timore di disturbare.

Il problema è che per molti la libertà di rispondere quando si preferisce degenera nella libertà di rispondere tout court. C'è caso e caso, ovviamente, e anche a me capita di farmi viva dopo secoli o anche di dimenticarmene del tutto: so bene che ognuno di noi è chiamato a seguire sempre più calendari e canali di comunicazioni diversi ed è fisiologico che qualcosa si perda per strada. Ma la deformazione mentale che porta a pensare che la rapidità di contatto e il costo limitato o inesistente determinino anche una svalutazione del contenuto e addirittura dell'atto della comunicazione, quella no che non è fisiologica, signori miei. Quella, a casa mia (e a costo di sembrare ancor più anacronistica), si chiama maleducazione, menefreghismo, mancanza di rispetto. E non è questione di suscettibilità: è semplicemente aberrante che da innovazioni tecnologiche giunte nel nome della praticità si arrivi alla svalutazione della comunicazione stessa, ovvero dell'atto fondamentale delle relazioni interpersonali.

Oh, certo, per cliccare su "invia" mi è bastato un secondo. Ma magari per trovare quell'informazione che mi avevi chiesto ci ho messo mezz'ora. Magari per mandare una decina di messaggi organizzativi personalizzati non ci vuole solo quel minutino scarso che tu ipotizzi nel vedere i miei 160 caratteri. Magari per rileggerti quel testo "che tanto era una paginetta scarsa" ci ho messo tre ore. O magari chissenefotte di quanto ci ho messo. Magari la cosa importante è che ho pensato a te, proprio a te, per un minuto, per un'ora o per un giorno, e che il dannato filtro telematico non ti trasmette questo punto cruciale.

Ma naturalmente, come per tante "derive" di questo brave new world, c'è ben poco da fare, oltre a lottare contro i soliti mulini a vento. Mi accontento quindi di far sapere a voi che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui che da qualche parte esisterà sempre qualcuno che toh, vorrà proprio comunicare con voi. E, incredibile dictu, si aspetterà persino un'interazione.

Allie

2 commenti:

_SaRaksha_ ha detto...

Dell'informazione, ma a quanto pare anche delle prestazioni professionali (vedi le traduzioni) e del valore delle persone.

Allie ha detto...

Già, come sai concordo pienamente, ma già che ne parlo sempre per una volta ho spostato l'accento su qualcos'altro... chiaramente ben sapendo che i veri destinatari del messaggio sono proprio quelli che non lo leggeranno mai! :-)
Chi vita grama, che grama vita...