sabato, marzo 20, 2010

"Don't analyse, don't go that way..."

La musica è un dono. La competenza musicale invece è un dono che non ho, nè a livello di performance (escludendo quell'ottava scarsa che so tirar fuori da un flauto dolce e i tre accordi di numero che la mia povera vecchia chitarra subiva sotto i miei polpastrelli inesperti), nè a livello di critica (caro Piero, non sono nemmeno degna di leggerti, io che non distinguo una nota dall'altra). Però la musica la so vivere. Mi condiziona, mi dà carica, mi culla senza pretendere che sappia decodificarne i meccanismi. E anche se vorrei "fare di più" sono già felice di potermela sentire nella mente e nell'anima, di poterne godere in maniera diretta e non mediata, istintivamente (animalinstinctivamente!). Non voglio analizzare perchè mi piacciono certi gruppi o certi generi invece di altri; i motivi sono tanti, tautologicamente potrei dire per "piacere acustico", ma non importa granché. Quello che conta, che ha sempre contato, sono le emozioni che la musica riesce a trasmettermi, e naturalmente quella dal vivo ha un potere ancora più forte in questo senso. Per me un concerto, un *bel* concerto, è un evento da attendere con ansia, da vivere appieno assorbendone tutta l'energia per poi portarla con sè. Nel corso degli anni, diciamo dai 13 in poi, sono stata a un discreto numero di concerti e festival, magari un giorno cercherò di ricostruirne un elenco approssimativo (a breve ci sarà giusto un quindicesimo anniversario da commemorare :-) ). Ho visto artisti diversi tra loro e vissuto le varie esperienze con un bagaglio personale di volta in volta diverso e con compagni d'avventura diversi (ma Andrea vince su tutti per presenze!)... ma l'emozione in fondo non è cambiata. Quest'anno ("scolastico", si intende!) ho avuto la fortuna di rivedere dal vivo tre gruppi che avevo amato sin dall'adolescenza... naturalmente sono cambiati loro e sono cambiata io, ma ritrovare la passione è stato automatico e tutte e tre le serate si sono rivelate davvero memorabili. Dei Green Day a novembre ho già parlato, di Joey Cape e Tony Sly (ma soprattutto Joey Cape!) avrei dovuto scrivere a caldo a fine febbraio (un tripudio di rivisitazioni acustiche, trips down memory lane e la gioia post-teen-crush di una foto con Joey!)... ma al momento nelle mie orecchie risuonano ancora (egggraaazzzie, c'ho le cuffie!) le note dello splendido concerto milanese dei Cranberries di qualche giorno fa. Il tour della reunion, l'unica data italiana (a cui poi in realtà ne seguiranno altre durante l'estate), un saluto alla "mia" Milàn, l'immenso Mediolanum Forum di Assago stracolmo di gente... e soprattutto la carica infinita di Dolores. Credo fosse il mio quinto o sesto concerto dei Cranberries, includendo il Taratatà, l'MTV Day e la trasferta fiorentina... ma valeva davvero la pena di ripetere l'esperienza. Una set list a cui non mancava quasi nulla (al momento fra le grandi assenze mi viene in mente solo Promises), con brani tratti un po' da tutti gli album e lo splendido atto finale di Dreams.

"I know I've felt like this before
but now I'm feeling it even more..."

Allie

venerdì, marzo 12, 2010

Sostanza dei sogni miei...

La notte è fatta per sognare... e se non si riesce a farlo dormendo ci si accontenta di farlo ad occhi aperti... che va bene lo stesso, perchè ogni tanto è giusto ricordarci della "miglior cosa / Che [ci] sia successa..."

Allie

mercoledì, marzo 10, 2010

Del deprezzamento dell'informazione "nell'epoca della sua riproducibilità tecnica"

Amo Internet. Amo la praticità dei cellulari (senza troppi fronzoli, a dire il vero, ma tant'è). Amo poter raggiungere amici lontani in the blink of an eye, comunicare rapidamente, scambiare informazioni e materiali con pochi clic. Mi rattristano, però, gli effetti collaterali dell'era dell'informazione e della comunicazione istantanea. Si parla sempre di information overload incitandono i poveri Wilfers idealisti e senza bussola a scremare le valanghe di parole, immagini e suoni con cui i nuovi media (e in particolare la rete) ci sommergono in tempo reale. Un problema che ben conosco, certo. La mia ansia da prestazione accademico-intellettuale mi fa soccombere più e più volte sotto il peso della fase di recupero materiali, tanto che il momento di sintesi e rielaborazione viene rimandato all'infinito.

Ma non è questo che mi preoccupa, in realtà. Non sono certo la prima persona che si mette a speculare sull'evoluzione della comunicazione e delle relazioni interpersonali sotto l'influenza dei new media, ma nel mio piccolo mi permetto alcune considerazioni un po' amare, che non brilleranno per scientificità ma che sento di dover esprimere.

Banalità "economica" di partenza: la diffusione e la reperibilità illimitata di un prodotto o un servizio ne fanno crollare il prezzo (e di conseguenza il valore che istintivamente vi attribuiamo). Ora potrei riportare i miei quanto mai arzigogolati percorsi mentali intorno a questo argomento, ma in fondo arrivare posso arrivare al dunque anche in direttissima: non solo la possibilità di accedere istantaneamente a qualsiasi tipo di informazione può portare, e mi si perdoni il moralismo démodé, a "godersi meno le cose", ma credo che la nuova comunicazione senza più limiti di spazio e tempo tenda anche alla necrosi relazionale.

A livello di comunicazione vocale si verifica una serie di fenomeni alienanti che rischia di annullare gli effetti positivi di aggregazione: nel comunicare il proprio hic et nunc se ne perde la specificità spazio-temporale, nell'inseguire il sogno dell'Altrove (cosa che io ho sempre fatto, anche prima dell'avvento delle nuove tecnologie) ci si costruisce una collocazione che in realtà non ha referenti concreti, non si è mai nè "qui" (perchè ci si aliena dal contesto) nè "là" (perchè appena si riattacca si chiude il portale del teletrasporto). Non fraintendemi: continuo a essere felice di poter "vivere" momenti "altri" (e altrui), vicariously, ma a volte cercando di "essere" in troppi luoghi contemporaneamente si finisce per non essere in nessun dove.

Quello che percepisco come il problema più grande, tuttavia, è la deresponsabilizzazione insita nei nuovi meccanismi di comunicazione scritta: e-mail e sms, che pure sono il mio pane quotidiano, portano con sè, oltre all'indubbia comodità del contatto virtuale istantaneo gratuito (o comunque relativamente economico) a prescindere dalle distanze, uno svilimento dell'atto comunicativo generato proprio dalla facilità di quest'ultimo e dalla sua indipendenza da limiti spaziali e temporali. Salvo quando espressamente specificato, un'e-mail o un sms non richiedono al destinatario una risposta immediata, tanto non vi sono limiti di orario nè attese per la consegna del messaggio. Benissimo, per certi versi, certo a noi insonni fa molto comodo poter sbrigare di notte la corrispondenza che non abbiamo smaltito di giorno, senza timore di disturbare.

Il problema è che per molti la libertà di rispondere quando si preferisce degenera nella libertà di rispondere tout court. C'è caso e caso, ovviamente, e anche a me capita di farmi viva dopo secoli o anche di dimenticarmene del tutto: so bene che ognuno di noi è chiamato a seguire sempre più calendari e canali di comunicazioni diversi ed è fisiologico che qualcosa si perda per strada. Ma la deformazione mentale che porta a pensare che la rapidità di contatto e il costo limitato o inesistente determinino anche una svalutazione del contenuto e addirittura dell'atto della comunicazione, quella no che non è fisiologica, signori miei. Quella, a casa mia (e a costo di sembrare ancor più anacronistica), si chiama maleducazione, menefreghismo, mancanza di rispetto. E non è questione di suscettibilità: è semplicemente aberrante che da innovazioni tecnologiche giunte nel nome della praticità si arrivi alla svalutazione della comunicazione stessa, ovvero dell'atto fondamentale delle relazioni interpersonali.

Oh, certo, per cliccare su "invia" mi è bastato un secondo. Ma magari per trovare quell'informazione che mi avevi chiesto ci ho messo mezz'ora. Magari per mandare una decina di messaggi organizzativi personalizzati non ci vuole solo quel minutino scarso che tu ipotizzi nel vedere i miei 160 caratteri. Magari per rileggerti quel testo "che tanto era una paginetta scarsa" ci ho messo tre ore. O magari chissenefotte di quanto ci ho messo. Magari la cosa importante è che ho pensato a te, proprio a te, per un minuto, per un'ora o per un giorno, e che il dannato filtro telematico non ti trasmette questo punto cruciale.

Ma naturalmente, come per tante "derive" di questo brave new world, c'è ben poco da fare, oltre a lottare contro i soliti mulini a vento. Mi accontento quindi di far sapere a voi che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui che da qualche parte esisterà sempre qualcuno che toh, vorrà proprio comunicare con voi. E, incredibile dictu, si aspetterà persino un'interazione.

Allie