martedì, febbraio 02, 2010

Zunge

Poichè sono nata e cresciuta in un ambiente in cui le lingue straniere venivano (e vengono) studiate, insegnate e soprattutto coltivate con dedizione e genuine fascination, le riflessioni linguistiche per me sono sempre state all'ordine del giorno. Riflessioni in ogni senso, dalle speculazioni più ragionate all'istintivo piacere o fastidio che provo nel leggere o sentire determinati grafemi o suoni. Naturale, quindi, che sia sempre stata più o meno consciamente attratta dai racconti incentrati su interpreti, traduttori o comunque situazioni di plurlilinguismo o di glottodidattica. Mi ha sempre affascinata, ad esempio, l'idea che in un dato momento della storia ci siano state persone che hanno dovuto *inventarsi* come interpreti, persone che hanno dato il via alla mediazione linguistica senza tutti i mezzi che abbiamo oggi. E non parlo solo di tecnologie, diffusione dell'informazione, stampa e quant'altro: penso spesso a come dev'essere avvenuto Il Primo Tentativo di Imparare Una Lingua Altrui, il primo superamento dei confini linguistici. D'accordo, indicare un albero e pronunciarne il nome nella propria lingua in modo che l'interlocutore allofono capisca è un conto, ma come spiegare ad esempio tutte le regole grammaticali senza un metalinguaggio, che sia la propria lingua o quella dell'altro? Sicuramente esisteranno mille teorie in proposito, ma l'inizio della lotta per sconfiggere la maledizione di Babele continua a farmi riflettere. Ci pensavo anche ieri notte, dopo aver finito il bel racconto (o romanzo breve, che dir si voglia) di Tawada Yoko "Il Bagno", che a sua volta mi ha fatto tornare in mente i racconti di Ingebord Bachmann contenuti nella raccolta "Il Trentesimo Anno", e ovviamente in particolare "Undine geht". Nelle poche pagine di Tawada Yoko si fondono mediazione linguistica e metamorfosi, sottrazione della lingua (letteralmente), l'immagine della sogliola (Seezunge, lingua del mare) come metafora femminile e fonatoria, ma anche un provocatorio paragone fra l'interpretazione e la prostituzione:

"Un’interprete è come una prostituta che si vende ai soldati di occupazione e viene odiata dagli uomini del suo paese. Evidentemente credono che le parole tedesche che si riversano nelle mie orecchie siano una sorta di sperma."

Non ho mai elaborato la cosa in questi termini, ma è pur vero che dietro la magia della mediazione fra lingue diverse si cela il lato oscuro della minaccia di "ibridazione", di "svendita", di "tradimento" delle proprie radici e della propria identità. Minaccia percepita non dal traduttore o dall'interprete, ma "da Tutti Gli Altri" che inconsciamente gliela riversano addosso. Personalmente ho sempre pensato che l'amore per le lingue e il desiderio di apprenderne il più possibile sia invece una forma di self-definition... ma devo ammettere che spesso mi sono trovata d'accordo con la citazione con cui chiuderò questo post:

"Io sono francese in Germania e tedesco in Francia; cattolico tra i protestanti, protestante tra i cattolici; filosofo tra i religiosi e baciapile tra i liberi pensatori; uomo di mondo tra i dotti e pedante tra gli uomini di mondo; giacobino tra gli aristocratici e nobile, uomo dell'ancien régime, e così via, tra i democratici. Sono sempre fuori luogo, ovunque straniero..."

Adalbert von Chamisso, Lettera a Madame De Stael (1810)

Allie